La storia dell’azienda Il Pendio nasce nel 1988 quando un anziano del posto decise di dedicarsi alla viticoltura in modo meno amatoriale e creare una piccola realtà vitivinicola, pur ammalandosi pochi anni dopo l’inizio del progetto. Michele, originario di un’altra vallata, è arrivato ufficialmente nel 2002, in seguito ad un percorso piuttosto variegato e una formazione del tutto diversa da quella di enologia, agronomia o materie affini alla viticoltura. Dopo il liceo classico, anche per volere della famiglia, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, percorso di studi che fu interrotto grazie o a causa della possibilità di effettuare uno scambio culturale in America, tramite un progetto valorizzato dalle ambasciate dei rispettivi paesi.
Iscritto a questo progetto assieme ad un amico, vinsero entrambi la partecipazione e, pochi mesi dopo, partirono, senza dire nulla alle famiglie, se non qualche giorno prima di fare le valigie.
Al suo ritorno, dopo un anno passato oltre oceano, parlando in maniera consolidata l’inglese, trovò occupazione nel mondo delle acciaierie bresciane come responsabile commerciale estero, mestiere che lo ha visto coinvolto per circa dieci anni.
Una scena del figlio che, al ritorno dall’ennesimo viaggio, lo ha salutato con un pizzico di vergogna, la passione per la viticoltura e la voglia di stravolgere la sua vita, lo hanno portato, assieme alla famiglia ed il loro supporto, in queste terre per coronare la sua idea di produrre bollicine Metodo Classico, esclusivamente Pas Dosè.
C’è da sottolineare come in queste zone tra le due guerre e fino agli anni sessanta ogni famiglia aveva il suo vigneto, parte di orto, alberi da frutto, ulivi e ognuna portava l’uva in un’unica casa (dove oggi sorge la cantina di Michele) al fine di vinificare tutti assieme nell’ottica di una cantina sociale, con lo scopo comune di soddisfare il bisogno di ogni famiglia. Uno degli abitanti di questo piccolo borgo è Momi, nome che si ritrova in una delle etichette de Il Pendio; un signore di oltre ottant’anni che per i primi tre anni non ha mai salutato Michele, visto come foresto, preso poi in simpatia e aiutato anche nell’allevamento della vigna e in alcuni lavori di cantina.
All’arrivo di Michele in questa piccola realtà c’era un enologo a supporto del precedente proprietario, che però ha trovato vita breve dovendosi scontrare con le idee innovative e già delineate che vedevano una produzione distante da quella dell’enologia più classica.
Oggi i vigneti più vicini alla cantina sono stati piantati ex-novo e il Pinot Nero ha sostituito il Cabernet Franc, mentre percorrendo la strada di sassi che porta all’albero di noce, simbolo dell’azienda, e al successivo bosco si possono trovare le vecchie vigne di Chardonnay, qualche pianta di Pinot Bianco e ancora Pinot Nero. E’ inutile dire che le lavorazioni sono tutte fatte a mano e Michele ad oggi è supportato da uno dei due figli, “rugbysta che si è fatto più male in due anni di vigna che in venti di rugby”. Le vecchie vigne di Chardonnay, che hanno un’età media di trentacinque anni erano un tempo coltivate a pergola e sono state abbassate ormai vent’anni fa, cambiando metodo di lavorazione.
In un territorio estremamente ventilato, non soggetto a gelate, non si effettuano sfogliature “al massimo le foglie vengono arrotolate” e la terra non viene mai mossa, sfalciando l’erba almeno cinque o sei volte all’anno. Il sottosuolo è composto dai primi cinquanta, sessanta centimetri di argilla per poi trovare una roccia calcarea estremamente dura e poco penetrabile.
I trattamenti sono principalmente a base di rame e zolfo e viene periodicamente sparso del letame secco, soprattutto per favorire la crescita delle nuove piante. Dopo eventuali grandinate viene cosparso un preparato biodinamico, che si è verificato essere efficace per il ripristino delle piante e Michele conta molto sull’equilibrio che può donare il vicino bosco, all’interno del quale si rifugiano insetti ed altri animali che possono giovare la vita dei vigneti nell’ottica di un ecosistema che si può bilanciare ed auto-regolare.
Spostandoci nella struttura dove sorge la cantina, sono stati ricavati diversi ambienti dislocati in quello che Michele definisce “garagesmo estremo”. L’uva arriva in un piazzale ed effettua un percorso contrario a quello più classico a caduta, dovendo salire una rampa per poi essere pressata e lavorata, una salita che definisce un processo ossidativo della materia, l’unico nel quale viene adottata una minima quantità di solforosa. Le vasche utilizzate sono principalmente di acciaio, ma si trovano anche delle barrique per i vini rossi e per la base che dà vita alla famosa Selossata, prodotta nel 2006 e nel 2009.
Le prime fermentazioni avvengono in maniera spontanea e, per i Metodo Classico prodotti, la seconda fermentazione in bottiglia si innesca con dei lieviti selezionati. Dopo il giusto riposo la sboccatura viene effettuata a la glace e la colmatura con le stesse bottiglie di vino, in una proporzione di dodici per mille ottanta bottiglie sboccate. Anche tappatura ed etichettatura avvengono sul posto, con una tappatrice dedicata agli spumanti ed una molto evoluta per i vini fermi, strumento insolito da vedere in Franciacorta.
“Durante la giornata dedicata alla sboccatura non si assaggia mai una bottiglia prima di averne sboccata una!”.
L’idea di fondo con cui è nata Il Pendio è stata quella di produrre bollicine Metodo Classico Pas Dosè e, “sebbene nei primi anni non le comprava nessuno, dal 2010 c’è stata una domanda in continua ascesa” che, vista anche la qualità del prodotto, ad oggi ha aumentato a dismisura la richiesta, sempre più spesso non soddisfatta.
La produzione non è mai costante e se consideriamo le annate 2014, 2017 e 2019 sono state prodotte rispettivamente tremila, cinquemila e zero bottiglie. Sia a causa del clima, sia per i sempre più frequenti acquazzoni ed alcuni smottamenti del terreno Pinot Nero e Chardonnay vinificati come vini fermi non sono stati più prodotti dal 2013, che è stata l’annata migliore della storia aziendale…..
Una bellissima realtà che spicca della selezione rutaN !